Credo che si
sia rotto qualcosa, nei cervelli, nell’anima. Si è rotto qualcosa in coloro che
muovono le fila della società inviandoci messaggi condizionanti attraverso i
mezzi di comunicazione, in coloro che dettano i nostri stili di vita, che
modificano le nostre abitudini. Il consumismo ha sempre puntato a condizionare
le masse in funzione del profitto, ma ora questo condizionamento ha superato il
limite puntando dritto verso un processo autodistruttivo.
Catastrofismo?
Forse, ma quando vediamo che la notizia del giorno è Al Bano, abituato a riempire
teatri immensi con folle sterminate, che va a fare una comparsata al centro
commerciale, cadono le braccia. Un po’ per Al Bano, intendiamoci, che sta
rapidamente facendo declinare la propria millenaria carriera, soprattutto per noi.
Peggio è stato leggerne un’altra, di notizia, pochi giorni fa: tutti felici perché,
presso lo stesso centro commerciale, aprirà un famoso negozio di articoli
sportivi che sicuramente attrarrà grande pubblico. Pure il Sindaco del paese
che ospita la struttura era soddisfattissimo, noncurante del centro città che
si svuota sempre di più, dei negozi vuoti, degli esercenti tradizionali preoccupati.
La lotta tra
centri commerciali è all’ultimo sangue. È una gara a inventarsi eventi e
attrazioni per portare sempre più gente dentro i loro scatoloni pieni di
musica, luci e di nulla. Investono un sacco di soldi, troppi se ci pensiamo,
persino a fronte di chissà quali guadagni. Costruiscono mostri di cemento
armato e, dopo pochi anni, li abbandonano per farne di nuovi, più grossi, più
vuoti. E la gente accorre, lunghe file di macchine nei fine settimana sulle
strade che portano verso questi paesi dei balocchi collodiani, pecore
transumanti condotte da abili pastori.
Il centro
commerciale è un cancro che uccide la nostra società. Svuota i paesi,
annichilisce la gente, annulla l’incontro, lo scambio, sostituisce tutto con un
surrogato di socialità imbambolata da luci e suoni sapientemente dosati per
stordire e far comprare. Distrugge la vita sociale, desertifica le città.
Schiavizza chi ci lavora, fa diventare tutti i giorni uguali, feste, lunedì,
notte e giorno. Cinema, ristorante, passeggio, è tutto dentro una scatola, tutto
finto, tutto di plastica.
E noi siamo
disarmati, dobbiamo adeguarci. Dobbiamo arrenderci, quando nemmeno chi
amministra le città si rende conto che, facendo nascere questi bubboni
purulenti sui propri territori, condanna a morte la nostra civiltà, lascia
che il mostro in cui si è trasformato il consumismo la fagociti. E tutto questo
per pochi miserabili spiccioli, perché il grosso naviga altrove.
Luca
Craia
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