lunedì 15 maggio 2017

Ricostruzione sganciata dallo sviluppo. Progetto per le aree interne. Ma basterebbe ripristinare l’esistente


Massimo Sergoli di Unicam

È un concetto talmente semplice, lapalissiano direi, che mettere insieme ben quattro università per esprimerlo somiglia alla favola della montagna e il topolino. Ma tant’è che qualcosa bisogna pur fare e, piuttosto che fare cose concrete, si preferisce affidare studi e progetti che, in realtà, non servirebbero se solo si facesse davvero e con celerità quello che c’è da fare.
Così appare quanto meno strampalata l’idea dell’Ufficio di Presidenza della Regione Marche, presentata stamattina ad Ancona, di mettere insieme i quattro atenei universitari regionali per dirci che, se ricostruiamo senza creare un tessuto economico che sostenga la società civile, la ricostruzione sarà inutile. Significa che se facciamo le case ma non ci mettiamo dentro la gente, o non diamo alla gente modo di vivere e sostentarsi, quelle case, quelle città, rimarranno vuoti simulacri. Amen, lo sapevamo pure senza studi universitari.
Il punto, però, è che si vorrebbe proporre un progetto di sviluppo alternativo per le aree terremotate. “"La ricostruzione materiale, che comunque si farà, rischia di essere sganciata dallo sviluppo reale di questi luoghi – secondo Massimo Sargolini dell'Università di Camerino -, non sappiamo chi costruiamo e se e quante persone torneranno a vivere in questi posti. Un altro rischio è quello di stare fra passato, presente e futuro, e non nella necessaria contemporaneità, pensando di ricostruire tutto com'era prima. È necessario lavorare in questo momento storico avendo la memoria del passato ma con la visione del futuro".
Non sono parole dette a caso. A valutarle bene, mettono i brividi. Perché qui si sta mettendo in discussione il modello di vita dei paesi colpiti dal terremoto, un modello di vita, economico e sociale che, fino alla catastrofe che si abbattuta su questi luoghi, funzionava, magari non perfettamente, ma funzionava. L’idea di Sergolini, invece, è di modificare questo modello. Sergolini pensa che ci sia “il rischio della separatezza fra la lentezza di questi luoghi, che è parte della loro bellezza, del paesaggio, della cultura, e la velocità della globalità. La lentezza non dovrebbe rimanere chiusa, asfittica, ma agganciarsi alla possibilità di un nuovo sviluppo".
Io non credo che i cittadini di Visso, Ussita, Castelraimondo, Arquata vogliano rimodellare le loro esistenze, i loro stili di vita, la loro programmazione economica sulla base di uno studio universitario. Io credo che la cosa più saggia e intelligente da fare sia ripristinare prima possibile l’esistente, non solo le case, ma lo stesso tessuto economico e sociale. E invece è proprio quel tessuto economico e scoiale che non si è affatto pensato a salvaguardare, smembrando le comunità e facendo scorrere il tempo senza alcuna azione volta alla tutela delle imprese, dell’economia, della struttura sociale di queste aree.
Non si è fatto nulla in nove mesi, e ora ce ne usciamo con un progetto di ristrutturazione economica che non serve, perché basta rimettere in funzione il modello preesistente, che funzionava. Ma, mancando la volontà politica di farlo, anzi, con l’evidente intento di spazzare via quanto è stato sospeso dal terremoto per realizzare chissà cosa, il progetto presentato dall’Ufficio di Presidenza appare come una densa cortina di fumo che vuole nascondere altri intenti, intenti che, solo pensarli, fa paura.

Luca Craia

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