Le dimissioni di Fabrizio Curcio da Capo Dipartimento della Protezione
Civile potrebbero sembrare quasi una buona notizia: Curcio ha dimostrato di non
essere minimamente in grado di gestire la macchina complessa che era chiamato a
guidare e il suo abbandono potrebbe lasciare aperta la possibilità che arrivi
un miglior pilota. Credo però che la notizia non sia affatto buona, anzi.
Non è buona prima di tutto perché a sostituirlo sarà il suo vice,
Angelo Borrelli, che è lecito pensare sia in possesso delle stesse capacità e
dello stesso bagaglio culturale del suo ex capo. Ma la negatività deriva da un
ragionamento più complesso. Per quanto non abbia mai stimato molto Curcio,
credo che il suo fallimento, perché di questo si tratta, sia imputabile alle
norme che regolano la Protezione Civile, norme riformate profondamente dal
governo Renzi che hanno stravolto l’impostazione precedente, quella sulla quale
ha potuto lavorare, con risultati anch’essi più che discutibili ma sicuramente
con capacità di manovra immensamente maggiori, Guido Bertolaso.
Le dimissioni di Fabrizio Curcio, quindi, pur essendo motivate da “motivazioni
strettamente personali” lasciano pensare a una resa incondizionata, alla
constatazione dell’impossibilità di manovrarla, quella macchina complessa,
impossibilità che permane anche col cambio di pilota. Di tutte le norme,
decreti, deroghe e manovre che si sono susseguite, nessuna in realtà è mai
andata a intaccare l’impostazione della Protezione Civile che è rimasta
imbrigliata in uno schema talmente complicato da diventare ingestibile. Con le
dimissioni di Curcio il problema non si risolve, rimane dov’è, ma abbiamo un
altro indizio di quanto sia improbabile una soluzione rapida ed efficace dell’emergenza.
Luca Craia
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