In pochi giorni, complici il caldo estivo, il cordoglio ritrovato all’anniversario
del primo sisma e la naturale stanchezza, l’atteggiamento che leggiamo sui
social tra i terremotati del centro Italia è mutato radicalmente. Sembra quasi
che il silenzio auto (neanche tanto) imposto per il 24 agosto si stia
prolungando, assopendo le istanze, le proteste, la rabbia per un anno di nulla
di fatto e gli intenti bellicosi. Ci si accontenta.
Ci si accontenta
delle quattro casette, dei lavori che, qua e là, stanno finalmente ma
lentamente iniziando. È la linea del volemosebbene. Francamente non so se sia rassegnazione o una sorta di
resa mentale. Fatto sta che il silenzio che echeggia sordo tra le valli
virtuali dei monti terremotati sta facendo un gran rumore. E fa tristezza, perché
significa che si sta smettendo di lottare.
Il disegno era proprio questo: sopire la lotta creando spaccature,
diatribe tra gli stessi terremotati, utilizzando la politica, le fazioni,
addirittura la musica, i pro e i contro i concerti, i pro e i contro questo e
quello, sapendo che un popolo come il nostro è sempre pronto a dividersi tra
guelfi e ghibellini. E i problemi irrisolti rimangono irrisolti.
Vince lo spopolamento, la desertificazione. La scuola non riparte, non
ripartono le imprese, non ripartono le comunità. La gente sta piantando radici
altrove, altri stanno pensando di andarsene per sempre. Del resto è quello che
si è sempre voluto, fin dall’inizio. Solo che ora comincia ad apparire come la
soluzione più logica.
Finirà il caldo, tornerà la neve, tanti problemi, tanti nuovi e vecchi
drammi. Magari qualche voce di protesta tornerà ad alzarsi, ma il grosso che
farà? Temo il silenzio, temo la rassegnazione, temo la razionalizzazione del
sopruso che diventa accettabile per pura necessità. E il gioco sarebbe fatto.
Vedremo.
Luca Craia
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