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venerdì 20 gennaio 2017

Ussita: arriva la turbina ma non ha le catene



Non lo so se mi viene da ridere, più che altro mi monta la rabbia per tanta approssimazione, disattenzione e, se vogliamo, stupidità, quella che troviamo, purtroppo, in quasi ogni angolo dello Stato. Non vado oltre e vi do la notizia asciutta, così com’è. I ragionamenti fateli voi.
Stamattina è arrivata a Ussita la tanto sospirata turbina. Non era un capriccio, quello del Sindaco Rinaldi, di avere questo mezzo: serve per liberare la strada e soccorrere gli abitanti delle frazioni di Casali e Vallestretta, minacciate addirittura dal pericolo di una valanga. Ebbene, la turbina è partita ma si è bloccata subito perché non aveva le catene. E non dico altro.
                                      
Luca Craia

martedì 20 dicembre 2016

Terremoto - La desertificazione della zona montana come stretegia politica.



Sembra ci sia un disegno preciso dietro la strategia adottata dal Governo (non distinguo tra quello di Renzi e quello di Gentiloni in quanto credo non ci sia nulla da distinguere) per gestire il post-terremoto nell’area montana. Può sembrare approssimazione, inettitudine ma, a guardar bene, forse c’è dell’altro. Le aree montane sono costose per lo Stato, molto. Un’area montana scarsamente popolata costa decisamente meno di una popolata densamente. Poi c’è la questione del Parco, i cui amministratori hanno sempre visto con poca indulgenza la presenza di insediamenti produttivi all’interno del territorio controllato dall’Ente. Infine ci sono i costi di ricostruzione, per i quali la matematica è semplice: meno gente che torna, meno case da ricostruire.
Ecco allora la strategia: portare la popolazione lontano e ritardare il più possibile ogni intervento diretto al ritorno della normalità. Le aziende non vengono aiutate a ripartire, non vengono allestiti siti alternativi per i servizi pubblici come scuole e ospedali, non si dà modo alla popolazione di rimanere, seppure in moduli abitativi provvisori.
Tutto questo tiene lontana dal luogo colpito dal sisma la gran parte della popolazione attiva, creando un danno enorme al tessuto sociale, danno che, più si va avanti nel tempo, più diventa insanabile. È difficile pensare a un ritorno alla situazione precedente al terremoto per tanti piccoli centri, come Castelluccio o Ussita. Qualche probabilità in più ce l’hanno i Comuni che possiedono aziende manifatturiere, sempre che queste riescano a riprendere la produzione in loco. Pare comunque molto probabile che non si tornerà mai più alla situazione originale.
Nel frattempo assistiamo all’immobilismo quasi totale, o a interventi inutili e poco razionali. L’uso della forza lavoro pubblica per realizzare strutture che potrebbero benissimo essere messe in opera da aziende private locali è illogico. Dare incarico alle imprese locali farebbe ottenere il duplice vantaggio di liberare le forze pubbliche impiegandole in lavori più consoni, come l’urgente riapertura delle strade, in gran parte ancora impercorribili, e di dare spinta all’economia congelata dal terremoto. Sarebbe poi indispensabile la rapida riapertura dei centri di servizio, come le scuole e gli ospedali. E poi le unità produttive vanno fatte ripartire subito.
La favola degli imprenditori mecenati che vanno ad aprire aziende ex novo nelle zone terremotate è poco credibile. Aprire un’azienda in un periodo di crisi internazionale non ha senso, a meno che non si trasferisca un’unità produttiva da un luogo all’altro. Solo che, in questo modo, si tapperebbe una falla creandone una nuova, occupando mano d’opera in un luogo e disoccupandone altra nel luogo di origine. Assurdo. Diverso il caso di Diego Della Valle, il cui marchio è in controtendenza rispetto al mercato. Ma anche qui c’è un ragionamento incongruo: per aprire un laboratorio calzaturiero con manodopera non del settore serve tempo. E questo tempo non c’è.
Da qui tutta la mia preoccupazione per il futuro delle zone colpite dal sisma. La politica che si sta attuando e la solita politica dei proclami, delle telecamere e dei riflettori. È vero che non ci sono le mostruose “new town” di Berlusconi ma è anche vero che, in sostanza, c’è l’immobilismo più completo. E i riflettori, quelli veri, quelli che tengono accesa l’attenzione dell’opinione pubblica, si stanno gradualmente spegnendo. Il rischio è che cali presto l’oblio e che i problemi non vengano più risolti, creando un’enorme zona deserta nel cuore del centro Italia.

Luca Craia

venerdì 16 dicembre 2016

La Regione blocca la costruzione delle casette per i terremotati. Politica distante anni luce dalla gente.



È stupefacente come la politica si allontani sempre più dalle reali necessità dei cittadini. Il caso del terremoto del centro Italia sta dimostrando in maniera lampante come chi amministra il nostro Paese, dal governo centrale alle piccole amministrazioni, sia distante anni luce dalla realtà. In questo caso assolvo le amministrazioni comunali dei paesi colpiti direttamente e in maniera più massiccia, che stanno facendo, nella maggior parte dei casi, miracoli per gestire una situazione difficilissima. Ma a rendere ancora più complicato il loto compito ci si mette la burocrazia e l’ottusità di funzionari che non hanno la minima idea di quello che sta accadendo e di quello di cui la gente ha bisogno. Ma i funzionari, in mancanza di direttive politiche ben precise, si limitano ad applicare la legge. Ecco quindi che la responsabilità grava assolutamente sul capo degli amministratori politici.
Il caso delle casette di legno per i terremotati è allucinante. Dopo aver deportato gran parte della popolazione colpita dal sisma verso la costa, con un intento che appare oscuro e sinistro e disegna un futuro fosco per la zona montana delle Marche che, andando di questo passo, sembra destinata alla desertificazione, per i pochi residenti rimasti si sta cercando di rendere loro la vita impossibile.
Il caso, in breve, è questo: le casette di legno della Protezione Civile ancora non si vedono, ma in montagna nevica e fa freddo, anche il Pesarese Ceriscioli dovrebbe saperlo, e chi ha deciso di rimanere ma non ha più una casa deve trovare il modo di sopravvivere. Non avendo assistenza dallo Stato, che in quasi quattro mesi non è riuscito a portare sul posto nemmeno dei miseri prefabbricati in legno, molti cittadini si sono mossi da soli, acquistando a proprie spese delle strutture ove passare l’inverno. In questo in molti casi, come quello di Tolentino, c’è stato l’avallo dell’Amministrazione Comunale che ha autorizzato l’edificazione provvisoria di questi manufatti.
Ora arriva la Regione Marche che dice che non si può. Si tratta di costruzioni abusive che possono essere tollerate solo per tre mesi, dopodiché si rischia di incorrere nell’imputazione per costruzione abusiva. Inoltre la Regione invita i Comuni a seguire le direttive date dalla Protezione Civile, individuare le aree dove installare i prefabbricati, quando arriveranno (ma con calma) prediligendo aree pubbliche. Cornuti e mazziati, i terremotati. La casa non è agibile, gli aiuti non arrivano e chi dovrebbe aiutare che fa? Li minaccia penalmente. Quindi chi ha costruito dei prefabbricati sul proprio terreno li dovrà abbattere. E poi? E poi o se ne vanno anche loro al mare d’inverno oppure congelano attendendo che lo Stato porti loro le promesse casette di legno che, a primavera, saranno davvero d’aiuto. Non fosse tragico farebbe ridere.

Luca Craia